E se... vincere non bastasse?

2022 - C'è chi Sopravvive.

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    Nathaniel Severus Piton


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    Puzzava di cibo, di alcool, di fumo. Puzzava di tutto ciò che un pub rappresentava. Ne era impregnato, inzuppato di quell'odore che si aggrappava ai vestiti e ai capelli. Lui quasi non se ne accorgeva più, ormai. Le prime settimane si ritrovava sempre sotto la doccia calda, quando tornava a casa. Da tempo invece, si dedicava una bella dormita prima di prendersi cura della sua igiene. Ah, non saltate subito alle conclusioni! Nathaniel non era diventato quel tipo d'uomo, quello che affogava nel bere i suoi più grandi dispiaceri. Ne avrebbe avuto tutto il diritto, certo. La guerra tra Ribelli e Dark Auror era finita da due anni. Avevano vinto, avevano distrutto quel pazzo psicopatico con le manie di grandezza. Ma a quale prezzo? A neanche 22 anni aveva visto morire suo padre e sua madre. Aveva visto morire un sacco di gente innocente o meno. Aveva perso la maggior parte delle persone che reputava importanti. Neppure Andrea era riuscita a uscirne indenne, Andrea che passava i suoi giorni in un letto d'ospedale in attesa di una cura contro una maledizione oscura. L'aveva vista sveglia alcune volte, riportata alla realtà direttamente dai medimaghi per farle prendere un minimo coscienza di sé. Era stato straziante per lei, ma soprattutto per lui. Dopo un anno di coma indotto, per evitarle dolori orribili, aveva dovuto metterla al corrente di ciò che era successo dopo che quella fattura l'aveva colpita in pieno petto. E poi aveva richiuso gli occhi, lasciandolo nuovamente solo alla sua vita degradante. Era fuggito dal Mondo Magico, fuggito da chi conosceva il suo nome e lo additava come figlio di un Eroe di Guerra. Era tornato a Spinner's End, alle radici della famiglia mezzosangue di cui portava il cognome. Non aveva mai toccato l'Eredità della Vittoria che gli era stata versata in un nuovo e scintillante conto alla Gringott. Non aveva messo piede nella Hogwarts ricostruita, né al Ministero che aveva ricominciato da zero. Aveva rimpianto il Campo Base, pieno di ricordi abbastanza felici. Non aveva dato alcun esame per guadagnarsi un vero e proprio diploma di magia. Dove si era rifugiato non importava a nessuno il tuo grado d'istruzione, né se fossi un mago potente o mediocre. Aveva semplicemente ripulito il vecchio tugurio paterno e poi si era cercato un umile lavoro per mantenersi. Il sudicio pub del quartiere l'aveva accolto in ricordo di suo nonno, un certo Tobias. I vecchi babbani che bazzicavano tra un tavolo e l'altro si ricordavano bene di lui e, a sprazzi, anche del figlio dallo strano nome: Severus. Per questo ora era sdraiato a pancia in giù sul divano della sala - ancora ricolma di libri - che russava con il braccio destro penzolante sul pavimento. Aveva staccato alle cinque e, nonostante il puzzo che si portava appresso, aveva ritenuto più utile dormire che lavarsi. C'era tempo per darsi una ripulita e, nel caso, rasarsi dopo una settimana di barba sfatta. Non c'era più nessuno che potesse rimproverarlo delle sue mancanze, comunque. Nessuno.
     
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    Andrea E. Piton



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    Che vita è quella per cui sei costantemente sedata, o meglio in coma farmacologico, perché è l'unico modo di stare viva?
    Una merda, ecco cos'è.
    Eppure, la mia vita da due anni a questa parte era quella.
    Durante la battaglia finale ero stata colpita da una maledizione potente, scagliata da Voldemort o Bellatrix, non ricordo, ma non importa. Si dà il caso che, da allora, il mio corpo si autorigettava, creando dei problemi non indifferenti. Per questo mi misero in coma subito, per fermare, o almeno rallentare, l'esito della magia.
    Mi sono svegliata un anno dopo, con la speranza di una cura ma il diniego dei medimaghi.
    Ricordo che la prima cosa che vidi fu il volto di mio fratello, Nathaniel, con le lacrime agli occhi. Mi abbracciò mi disse che mi voleva bene e poi iniziò a parlare. Come se non potesse esimermi. Ed io, morii dentro.
    Avevamo vinto, sì, ma a che prezzo?
    Mio padre e mia madre erano morti.
    Puff, spariti.
    Severus Piton, il mio mentore, la mia guida, colui che avevo tanto odiato quando aveva mandato via la mia cotta adolescenziale, ma che avevo protetto gettandomi in mezzo ad una maledizione mandata a lui. Lui che voleva impedirmi di combattere perchè ero la sua bambina. Nonostante i miei 25 anni. Ma per lui non faceva differenza.
    Catherine Piton, mia madre, la donna che amavo e odiavo al tempo stesso. Quella tanto diversa da me da diventare simile. Forte, determinata e coraggiosa. Mia mamma.... la mia mamma non c'era più.
    Quella mattina ebbi un crollo nervoso e tre giorni dopo mi sedarono, di nuovo.
    L'ultimo anno passò tra mesi di coma e manciate di giorni di sveglia. Che schifo.
    Non ne potevo più. Era chiaro che non vi era cura e mi chiedevo perchè si ostinassero a tenermi in vita. Non potevano lasciarmi morire e basta? Perchè continuare con queste sofferenze?
    La voce nella mia testa urlava che ero la figlia di Piton, di un Eroe... era ovvio.
    Le ultime volte che mi riportarono alla lucidità, Nath non c'era. Quattro volte aprii gli occhi da quel lungo sonno sperando di trovarlo e quattro volte non lo trovai.
    Ma lo capivo, non gliene facevo una colpa. Non doveva ne poteva stare dietro a me, in quello stato. Lui aveva la sua vita, le sue cose, io ero un vegetale che ogni tanto dava segni di vita.

    Mi accorsi che quella mattina le cose erano diverse dalle facce che vidi aprendo gli occhi.
    Ero stata in coma quattro settimane, poco per il mio standard, e stavolta, nell'aprire gli occhi, non vidi volti con sorrisi tirati e sguardi amari, vidi la felicità. Ero morta e finita in paradiso?
    Buongiorno Andrea, ben svegliata.
    Era stato il medimago a parlare. Colui che mi aveva in cura, quello a cui dovevo la mia non vita. Colui che, se fossi stata in forze, probabilmente avrei schiantato. Feci un mezzo ghigno, non sapevo neanche se la mia bacchetta fosse ancora in forze.
    Emisi un grugnito in risposta. Le corde vocali erano assonnate.
    Ho una splendida notizia... L'abbiamo trovata.
    Occhi felici, entusiasti, euforici, si schiantarono sopra di me. Avevano trovato cosa esattamente?
    Li guardai con scetticismo, o almeno era ciò che speravo facesse la mia faccia, un sopracciglio alzato e le labbra arricciate.
    La cura, Andrea. La cura alla maledizione.
    Ci misi qualche istante a capire davvero.
    Qualche secondo interminabile durante il quale mi passò davanti tutto l'insieme delle emozioni umane, poi, incomprensibilmente, i miei occhi si bagnarono e grosse lacrime scesero sulle guance.
    Era un pianto silenzioso, interminabile, senza mezzo singhiozzo, un pianto di una donna spezzata.
    Mi tirarono su a sedere meglio e mi fecero appoggiare ai cuscini. Mossi le gambe, cercando di capire se funzionavano ancora e loro, lentamente, risposero. Avrei avuto bisogno di fisioterapia brutale, mi dissi.
    Dovrai stare qui ancora qualche tempo, ma sarai sveglia, non avremo più bisogno di addormentarti. La prima tornata di incantesimi guaritori l'abbiamo già fatta mentre dormivi, poco fa.
    Oh, wow. Ok, grazie.
    Non riuscivo a parlare, ero come paralizzata. Davvero avrei potuto ricominciare a vivere? Ad avere una vita relativamente normale? Era incredibile.
    Nath...
    Fu l'unica cosa che mi uscì dalle labbra. Mio fratello. Mio fratello doveva sapere. Anche se non fosse venuto, avrebbe dovuto sapere che stavo meglio, che avrei potuto stare meglio.
    Il medimago sorrise e mi mostrò una lettera indirizzata al giovane Piton. Aprì la finestra su cui era poggiato un gufo e gliela legò alla zampa. Dopo che gli ebbe detto il destinatario, il piccolo volatile partì.
    Lasciai andare la testa indietro, contro il cuscino.
    Ero viva, stavolta, almeno apparentemente, davvero.
    Come mi sentivo?
    Non lo sapevo. Avrei dovuto essere euforica, eppure.. Eppure ero così stanca, spossata e sola. Si mi sentivo sola. Non per Nathaniel o almeno non solo. Non avevo praticamente più nessuno a parte lui. Non avevo costruito nulla, ero solo stata in grado di distruggere. E adesso? Adesso cosa mi aspettava?
    Medimago e infermiere mi lasciarono sola, con un vassoio per la colazione che chiesi di poter consumare senza aiuti.
    Ci misi molto, i muscoli erano intorpiditi, ma ammetto che riuscire a finire quella tazza di tè senza aiuti, fu esaltante.

    Edited by ZiaVoldy - 3/4/2014, 18:23
     
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    Erano passate appena tre ore da quando era collassato sul divano. Tre splendide e pacifiche ore che vennero interrotte da una sottospecie di insistente bussare. Nathaniel mugugnò una qualche imprecazione mentre le sue palpebre un po' cispose sbattevano lentamente. Chi cazzo era quell'essere che disturbava il suo agognato sonno e riposo?! Se era di nuovo il tipo che cercava di vendergli un'aspirapolvere l'avrebbe schiantato. E fanculo lo statuto di segretezza! Rotolò su se stesso finché non si ritrovò coi piedi scalzi sul pavimento. Cercando di non poggiare troppo peso sulla gamba destra, barcollò fino all'entrata pronto a maledire chiunque fosse aldilà della porta. La spalancò e... e niente. Nessun venditore lo stava aspettando e il rumore molesto continuava ad arrivargli alle orecchie. Ma che caz...? ed un gufo gli planò davanti agli occhi e si sistemò sul tavolino basso della sala, sotto lo sguardo attonito del moro. Dopo alcuni secondi richiuse la porta, non distogliendo la sua attenzione dal rapace. Notò in fretta che una lettera di pergamena gli era stata legata alla zampa. Cosa voleva il Mondo Magico da lui?! Il suo primo pensiero fu quello di ignorare completamente la missiva e tornarsene a dormire. Cosa poteva esserci di tanto urgente, poi? Eppure non ci riuscì... non riuscì a lasciar perdere, forse anche per l'ultimo sprizzo di curiosità che gli era rimasto negli anni. Zoppicando lievemente andò a sfilare la busta dagli artigli dell'animale e poi lesse il mittente, il San Mungo. Oddio. Non di nuovo, non un'altra volta! La sua curiosità si spense all'istante, preferendo quasi non aver sentito il becco del gufetto picchiare alla finestra. Strappò senza delicatezza la ceralacca grigia e iniziò a leggere le poche frasi che il medimago di sua sorella gli aveva riservato. Dovette rileggerle quattro volte, a dir la verità. E solo alla fine ne aveva compreso il senso. Volevano risvegliare definitivamente Andrea perché erano riusciti a trovare una cura. Una cura. No, era impossibile... aveva smesso di crederci da alcuni mesi ormai, aveva perso le speranze. Eppure era scritto così, nero su bianco. Perché avrebbero dovuto mentirgli?! Rilesse per l'ultima per sincerarsi che quello non fosse semplicemente un sogno, frutto della sua fantasia. E non lo era. Merda, era già in ritardo. Merda! Lanciò la lettera e si precipitò sulle scale per poter raggiungere il bagno. Inutile dire che non fu un'idea troppo brillante. Dopo tre soli passi la sua gamba rilasciò un dolore fastidioso che lo fece rallentare e quasi bestemmiare. Neppure lui ne era uscito completamente indenne da quella guerra. Non era nulla in confronto alla maledizione che aveva colpito Andy... ma quella zoppia restava comunque il suo piccolo dono da parte dei Dark Auror. Non sapeva se fosse possibile o meno eliminarla... non l'aveva mai chiesto. C'erano state molte cose più importanti al momento e poi era fuggito. Quando riuscì a raggiungere la doccia si spogliò e si ripulì il più velocemente possibile. Con solo un asciugamano legato in vita, se ne andò alla camera da letto abbastanza impersonale che l'aveva accolto negli ultimi due anni. Il disordine regnava sovrano lì, ma Nath riuscì comunque ad individuare i pochi capi puliti accasciati scompostamente sulla sedia o sul letto sfatto. Si infilò un paio di boxer a caso e poi recuperò i pantaloni di un blu scolorito, ma accettabili. Si buttò addosso una t-shirt grigia spiegazzata e una felpa della stesso colore. Prese la sua bacchetta in Ebano e tornò a piano terra, sostenendosi al vecchio corrimano. C'erano giorni buoni e meno buoni per la sua gamba... classificò quel giorno come del secondo tipo. Infilate le sneakers vinaccia, si smaterializzò all'Ospedale dei Maghi, poco distante dalle vetrate dagli inquietanti manichini che sembravano osservarti. Non passò alla reception, tirando dritto verso l'ascensore e la camera 104. Zoppicò fino alla stanza privata occupata da Andrea e rimase lì, sull'uscio aperto. La fretta che aveva provato poco prima si era dileguata. Che cosa le avrebbe detto? Cosa?! Non si era presentato agli ultimi suoi risvegli, troppo preoccupato di soffrire ancor di più e sprofondare nella totale impotenza di non poter fare nulla per aiutarla. E nel rimanere solo, ancora una volta. Per questo ora non riusciva a decidersi di fare un passo verso il letto occupato, pur essendo in perfetta vista e facilmente individuabile. In fondo era ancora terrorizzato sul fatto che quello potesse essere solo un errore dei medimaghi, così dal doverle dire addio per l'ennesima volta. Merda...
     
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    Andrea E. Piton



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    Quando ti svegli DAVVERO dopo due anni di coma indotto, da cui il tuo cervello è uscito solo per brevi lassi di tempo, non riesci a dire con esattezza cosa provi.
    Per me era così almeno.
    Certo ero contenta, avevano trovato una cura, potevano guarirmi, potevo tornare a fare una vita normale. Ma, allo stesso tempo, ero anche scombussolata, arrabbiata, devastata, spezzata, e tanto altro.
    Avevo perso i miei genitori, le mie guide.
    Avevo perso Ivan, quando sua sorella era venuto a riprenderselo 10 anni prima.
    Avevo perso quella sottospecie di ragazzo che avevo prima della battaglia finale. Niente di serio intendiamoci, ma era qualcosa, qualcuno a cui appigliarsi.
    Mi diedi della stupida. Io non dovevo attaccarmi a nessuno, dovevo farcela da sola, anche stavolta. Dovevo uscirne in solitaria, senza aiuti. E non perché non ne avessi (per quanto vero) ma perché era il mio stesso animo ruggente a chiedermelo.
    Il mio spirito, da sempre battagliero e tenace, stavo tornando, prorompente, a chiedere il riscatto per quei due lunghi anni di silenzio.
    Ma il mio corpo, al contempo, era stremato. Paradossale se si pensa che avevo dormito per quasi 24 mesi. Eppure era così.
    Finii la colazione e voltai il capo alla ricerca della finestra. Com'era cambiato il mondo in quel periodo? La pace tanto agognata era stata finalmente ottenuta? Il Campo Base esisteva ancora? Ed Hogwarts?
    Socchiusi gli occhi e sospirai. C'erano tante, tantissime domande da fare.
    Chi altri aveva perso la vita durante la guerra finale? Chi e come era sopravvissuto?
    E poi mi venne alla mente il volto di Ivan, un Ivan giovane, di dieci anni prima, bellissimo e irraggiungibile come lo era sempre stato. Feci un sorriso piccolo, senza voglia vera pensando a quell'unico ragazzo con cui avessi mai parlato davvero (a parte Nath s'intende).
    Già Nath, il mio fratellino.
    Il sorriso si allargò un poco, pensando a quell'impiastro del minore dei Piton. Sapevo che aveva ricevuto la comunicazione e sapevo che, probabilmente, sarebbe arrivato a momenti. Cosa ne aveva fatto della sua vita? Aveva smesso i panni del figlio dell'eroe o era rimasto sulla cresta dell'onda conseguendo i MAGO e lavorando in qualche sotterraneo pieno di calderoni?
    Non fu un rumore a scuotermi e a farmi aprire gli occhi, né una parola, né nulla di tangibile.
    Fu una sensazione, mischiata ad un profumo familiare, tanto familiare da fare male.
    Mi voltai verso la porta e lo vidi, al centro dello specchio, con una tuta e la barba incolta, i capelli lunghi e unticci, gli occhi titubanti. Alto, magro e bello da togliere il fiato.
    Nathaniel era sempre stato un bel ragazzino, ma con lo sviluppo era divenuto un adone moro.
    Quando i nostri occhi si scontrarono non potei esimermi dal sorridere, stavolta scoprendo i denti.
    Poi, impercettibilmente, tornai seria.
    Sei in ritardo Nath, come al solito.
    Un po' per smorzare la tensione, un po' per evitare che le mille emozioni che il mio corpo provava in quel momento si scatenassero. Tuttavia, inevitabilmente, sentii gli occhi pizzicare e le lacrime solcare le palpebre chiedendo di uscire.
    Sì, ero stata in coma due anni.
    Sì, avevo perso i miei genitori.
    Sì, avevo perso la mia vita.
    Ma avevo lui, il mio fratellino, il mio giovane e forte fratello che, nonostante tutto, era lì ad aspettarmi. Qualcosa di positivo, in fondo, c'era.
     
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    Nathaniel Severus Piton


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    Non riusciva a prendere quella decisione, a trovare il coraggio di avvicinarsi alla donna pallida distesa sul letto d'ospedale. Del resto il coraggio non era mai stata una delle sue maggiori virtù. E non solo dopo gli incubi notturni che avevano tormentato la sua infanzia... la parte del vigliacco gli calzava splendidamente anche di giorno. Era sempre stato consapevole di non essere un cuor di leone, e mai aveva provato a negarlo. E non era granché cambiato. Aveva preferito fuggire da quel mondo che tanto si aspettava da lui, da ciò che avrebbe dovuto rappresentare. Non si era presentato al San Mungo quando doveva, per paura di soffrire un po' di più. Ed ora non si azzardava ad entrare del tutto nella camera di sua sorella. Sorella che, per altro, incontrò le sue iridi ghiacciate e gli sorrise apertamente. Oh, Andy... come puoi anche solo guardarmi in faccia? sentì gli occhi iniziare ad inumidirsi, già pronti a lacrimare senza ritegno. Sei in ritardo Nath, come al solito. e la prima goccia salata si fece largo sulla sua guancia, seguita da un'altra e un'altra ancora. Nathaniel si coprì il viso con la mano destra, appoggiandosi mollemente allo stipite bianco. Negli anni si era sentito spesso dire quanto somigliasse a suo padre. Non era vero, affatto. Non era forte, né stoico quanto Severus Piton. Perfino da morto sarebbe apparso più tenace e freddo di lui. Lui che al momento tirava vergognosamente su col naso, che versava lacrime di rimpianto e sollievo allo stesso tempo. Nel piangere era sempre stato multitasking... che pena, non è vero? Quella era la realtà delle cose: era penoso e imbarazzante allo stesso tempo. Mi dispiace. sussurrò il giovane stringendo tra le dita un lembo di stoffa dei suoi pantaloni. Gli ci vollero un paio di minuti per riprendersi e recuperare un fazzolettino di carta. Si asciugò il viso non esattamente sicuro sul da farsi. Al momento non dimostrava certo i suoi quasi 25 anni, per Merlino. Lanciò un'occhiata verso Andrea e notò finalmente che non era l'unico ad essersi abbandonato a qualche emozione di passaggio. Certo, lui era sicuramente rimasto quello più "dimostrativo", comunque. E'... si schiarì la gola prima di formulare davvero quella domanda E' vero? L'hanno trovata? Ti cureranno? Okay, forse le domande erano tre. Anzi, senza il forse. Si decise infine ad avvicinarsi, lentamente, rimarcando un poco quella lieve zoppia con cui conviveva da oltre due anni. Ma di nuovo, non era nulla di rilevante rispetto a ciò che era toccato ad Andrea.
     
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    Mio fratello era sempre stato un dolce e angelico bambino. Ok ok forse angelico no, ma dolce si. E sentimentale, molto più di me, anche se, in effetti, ci voleva poco.
    Io avevo preso tanto da papà, sempre duro, rigido e poco propenso ai sentimentalismi. Ero la roccia tra i due, ma se io crollavo, Nath doveva riuscire a stare in piedi e, ammisi con me stessa, non sembrava esserci riuscito troppo bene.
    Mi asciugai le lacrime che iniziavano a bagnarmi il viso con le dita poco ferme e gli sorrisi facendogli cenno di sedersi al mio fianco sul materasso.
    Sono abituata ai tuoi ritardi Nath... lo sei da quando hai facoltà cognitive...
    Un sorriso stanco ma sincero violò il mio viso, mentre gli accarezzavo la mano.
    Così pare... Sembra che abbiano finalmente recuperato qualche informazione su questa maledizione. Non so bene dove, data la distruzione di testi oscuri, ma evidentemente qualcosa si è salvato.
    Parlare così tanto era faticoso, ma non volevo smettere. Mio fratello era lì, mezzo zoppo, stravolto e con l'aria di avere il senso di colpa più grande del mondo.
    Spostai la mano e gli accarezzai la barba incolta.
    Fai molto figo con questa barbetta sai?
    Feci un respiro profondo percependo un abbassamento di pressione. Riuscii a recuperare stabilità e sorrisi nuovamente.
    Tu come stai fratellino?
    Mi mancava sentire la sua voce, la sua risata, la sua isteria e le sue lagne. Mi mancava tutto di quella testa dura di Nathaniel Piton.
    Fu un attimo, ma venni percorsa da una scarica di adrenalina che mi permise di muovermi meglio. Un secondo dopo le mie braccia erano intorno al suo collo e lo stringevano in un abbraccio morboso, soffocante, ma carico di affetto.
    Mi... mi sei mancato.
    Le lacrime avevano ripreso a scorrere, ma ora cadevano sulla maglia del giovane uomo tra le mie braccia, mentre nascondevo il collo nell'incavo della sua spalla.
    Ormai eravamo rimasti solo noi due. Era tempo che i Piton tornassero ad essere forti e determinati, come erano sempre stati.
     
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    Si sedette lentamente tra le coltri chiare, distendendo un poco la gamba destra per dargli un leggero sollievo dopo la fretta precedente. Sono abituata ai tuoi ritardi Nath... lo sei da quando hai facoltà cognitive... dalle labbra fini uscì un risolino tossicchiato, come non accadeva da tempo. Non era del tutto vero... non era stato un ritardatario cronico. O meglio, c'era sempre chi lo tirava giù dal letto o lo spronava a darsi una mossa al Campo Base. E poi era rimasto solo e si era arrangiato. Aveva imparato che fare le faccende non era qualcosa da prendere sottogamba... tanto meno lavarsi i vestiti. Più di una volta si era domandato come facesse Catherine a fare tutto così splendidamente. In nessuna occasione era riuscito ad ottenere la pulizia o i lavaggi lontanamente simili a quelli di Cath. Aveva ancora qualche difficoltà con la biancheria e quelli dovevano essere degli incantesimi casalinghi di base. Gli mancava da morire sua madre, lei che era stata uccisa di spalle da Amycus Carrow. Ma aveva pagato con la vita quell'affronto, quell'assassinio meschino. Così pare... Sembra che abbiano finalmente recuperato qualche informazione su questa maledizione. Non so bene dove, data la distruzione di testi oscuri, ma evidentemente qualcosa si è salvato. e a quelle parole i suoi occhi sembrarono tremare, fremere a quella notizia. Aveva perso le speranze l'anno prima, dopo che tutte le ricerche sembravano non portare a nulla di concreto. Osservò la mano di Andy, piccola in confronto alla sua, carezzargli le dita lunghe e poco curate. Quel piccolo gesto bastava al moro per capire che la sua amata sorella non se ne sarebbe tornata più nell'oblio. Non so ancora chi devo ringraziare per questo... ma ti prometto che resterò qui, con te. e riuscì a stento a trattenere altre gocce salate che tentavano di insinuarsi sul suo viso colpevole. La lasciò giocherellare con la sua barba sfatta, come avrebbe fatto certamente prima della fine della guerra. Fai molto figo con questa barbetta sai? si strinse appena nelle spalle a quel commento. Non faceva troppo caso al suo aspetto ormai, soprattutto da quando lavorava al pub. Inutile dire che le sue frequentazioni femminili fossero praticamente inesistenti. Pensavo avresti detto sciatto, come sempre. Tu, invece, sei sempre più bella... come la mamma. Ma quello lo tenne per sé. Non avevano bisogno di rattristarsi ancor di più. Non il giorno del suo risveglio effettivo. Ci sarebbe stato tempo per quei discorsi, per raccontarle le scoperte che aveva fatto a Spinner's End. Tu come stai fratellino? Domanda di riserva? Perché al momento si sentiva proprio una schifo. In tutti i sensi! Ma non poteva essere una risposta adeguata, seppur abbastanza veritiera. Nella norma. Nulla di ché... non c'era un modo per spiegarlo come si deve. Lui si sentiva... vago. Lavorare di notte l'aveva alleviato un po' da quegli incubi che ancora occupavano i suoi sogni di tanto in tanto. Ma non stava bene o male. Nella norma. E poi lei lo abbracciò, stringendolo a sé. Non sapeva dove avesse trovato le forze per farlo, ma lui non si ritirò da quella stretta, abbracciandola a sua volta. Mi... mi sei mancato. e la sua t-shirt iniziò a bagnarsi di calde lacrime, mentre le sue guance facevano lo stesso. Oddio, da quanto non stringeva qualcuno a quel modo? Quanto?! Anche tu, Andy... non sai quanto! asserì Nath quasi straziato da quel contatto che gli prometteva di non essere più solo al mondo. Sua sorella era tornata, l'ultima persona a cui tenesse davvero non l'avrebbe più lasciato. E lui non avrebbe mai più lasciato lei, per nessun motivo. Mai più.
     
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    Avevo ascoltato quelle risposte tra il tremante e il poco convinto con attenzione. Nath lo conoscevo da sempre e sapevo quando mentiva, ometteva o diceva la verità.
    Ma mi resi conto che, quando ci abbracciammo, tutti i pensieri negativi, le paure, le mancanze volute o meno, sparirono. Mi sentivo, finalmente, dopo due anni, completa. Non ero sola, avevo Nath e lui aveva me.
    Mi ritrovai a stringere convulsamente la maglia di mio fratello quasi come fosse un appiglio per uscire definitivamente dall'oblio.
    Quando mi staccai mi asciugai un poco gli occhi e passai le dita un po' rovinate sul viso di lui, togliendo quelle calde gocce salate dal viso di Nath.
    La forza che mi aveva scosso scomparve così com'era venuta e io mi accasciai contro i cuscini, con un sospiro un po' stanco. Sapevo che era normale, eppure non volevo arrendermi a quella poca forza che mi riversava in corpo.
    Tornai a sorridere un poco mentre andavo ad intrecciare le mie dita con quelle del piccolo di famiglia.
    Avrei bisogno di una rivoluzione, altro che "Bella come sempre".
    Riuscii anche a fare un piccolo ghigno, quasi non fossi in un letto di ospedale ma al Campo, a 22 anni.
    Poi, improvvisamente, tornai seria.
    Davvero Nath., come stai? Cosa fai? Dove vivi?
    Speravo che cercasse di vivere al meglio, ma temevo che si fosse chiuso in se stesso più che mai. Ed era una cosa che, ovviamente non gli faceva bene.
    Tra i due, Nath era sempre stato quello più dolce, meno "cattivo", meno freddo, meno calcolatore. Ed aveva vissuto il trauma di perdere i genitori e di veder spegnere una sorella poco alla volta. Potevo solo immaginare cosa aveva dovuto provare nel sapermi viva ma non lucida, in una continua altalena tra veglia e sonno imposto.
     
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    Nathaniel Severus Piton


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    Ci volle un po', ma alla fine si staccarono da quell'abbraccio quasi morboso. La donna asciugò le sue lacrime e quelle del fratello, facendolo sorridere appena per quel gesto tanto loro. Dei, quanto gli era mancata! La vide infine accasciarsi sui cuscini, priva ormai di forze dopo quello scatto fuori programma. Il moro recuperò il bicchiere mezzo pieno sul comodino bianco e glielo avvicinò alle labbra. Bevi un paio di sorsi... la invogliò senza toni di comando nella voce. Era certo che sarebbe stata più efficace una pozione corroborante al momento... ma l'acqua era pur sempre un buon inizio. Avrei bisogno di una rivoluzione, altro che "Bella come sempre". Nath scosse la testa un poco divertito a quelle parole e a quel ghigno che tanto gli ricordava il passato. Oh no, lei non aveva idea di quanto fosse bella nonostante si trovasse in un letto di ospedale da circa due anni. Assomigliava a Catherine, alla mamma. Ma poi la vide ritornare seria e questo lo allarmò lievemente. Davvero Nath, come stai? Cosa fai? Dove vivi? Oddio... no bueno. Non aveva la minima voglia di rispondere onestamente perché sapeva già che faccia avrebbe fatto Andrea. Non sarebbe stata felice di sapere cosa avesse scelto di fare dopo che era fuggito da lì. Eppure gli era impossibile mentirle e non perché fosse una schiappa in quel frangente... semplicemente non lo voleva davvero. In fondo aveva bisogno di raccontare a qualcuno quelle cose e Andy voleva saperle. Sospirò... se ne sarebbe pentito, già lo sapeva. Beh, io... non potevo restare. Non dopo tutto quello che è successo. iniziò Nathaniel spostando il suo sguardo altrove. Non voleva vedere quelle iridi simili alle sue arrabbiate o peggio, deluse. Non quel giorno. Mi hanno offerto un sacco di lavori. Al Ministero, a Hogwarts! Neanche avevano finito di organizzarsi che già volevano darmi un posto. Ma io non... io non potevo accettare. Non c'entravo nulla con tutto questo! E solo perché ero il figlio di Severus Piton. una smorfia di dolore si fece largo sul suo volto tirato, segno che la perdita dei genitori era ancora un punto dolente. Ma io sono cresciuto a Culonia, capisci? Non in un bel villaggio magico o in qualche Maniero Purosangue. Non sapevo neppure come funzionasse un Ministero, tanto meno come fosse fatto, e poi non potevo più rimanere qui. Quindi me ne sono andato. Ora vivo a Spinner's End, nella vecchia casa di papà, e ho trovato un lavoro lì. Non è nulla di speciale, ovviamente. Nostro Padre probabilmente mi ucciderebbe, se solo... beh, potesse. forse era stato sul vago. Molto sul vago. Ma spiattellarle tutto a mitraglietta gli sembrava troppo e non gli andava affatto. In più, ad essere sinceri, voleva ritardare la reazione di Andy a quelle scoperte il più possibile. Non si vergognava, certo, ma non voleva la sua disapprovazione. Perché era Andy, sua sorella, l'unica persona importante che gli era rimasta al mondo.
     
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    Andrea E. Piton



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    Ero stanca, stremata, nonostante fossi in un letto da secoli praticamente, ma quell’unico piccolo sforzo per avvicinarmi a Nath mi aveva un po’ ucciso. Per cui bevvi con piacere quando lui mi porse quel bicchiere di succo. Sentire di nuovo quel liquido dolce sulla lingua mi fece sorridere. Era naturalmente e assolutamente semplicemente bello. Mi sentivo un po’ patetica, ma potevo anche concedermelo di tanto in tanto, no?
    Lui poi mi rispose. Mi rispose titubante, spostando lo sguardo dal mio, come allontanandosi dal giudizio. Ed io, conoscendolo, sospirai. Perché mio fratello era così semplice da sembrare irreale. Almeno ai miei occhi. Avrei scommesso sul suo comportamento e avrei vinto. Maledizione.
    Capivo il suo punto di vista, intendiamoci, eppure mi dispiaceva così tanto da farmi arrabbiare. Perché si era buttato via, aveva rinunciato ad una vita vera, in cambio di quella modesta e semplice che gli ricordava il Campo.
    Sospirai.
    Ascoltai ogni parola, trattenendo un po’ il fiato quando sentii pronunciare il nome di nostro padre.
    Quando lui finì questa sommaria spiegazione rimasi in silenzio diversi istanti. Poi, con fatica, portai la mia mano al suo viso e lo feci voltare, incontrando i miei occhi con i suoi.
    Non avevo dubbi che avresti rifiutato ogni lavoro offerto dal Ministero. Mi avresti scioccato se avessi fatto il contrario.
    Non ero delusa, ero dispiaciuta. Perché era come se anche lui, in quei due anni, fosse stato in coma. Fermo, bloccato in una vita non sua, che non gli apparteneva, per il volere di qualcun altro.
    Sospirai di nuovo.
    Quindi, in sintesi, mi stai dicendo che non hai preso i M.A.G.O.
    Ecco, questo mi faceva incazzare. Perché se potevo concepire la sua voglia di scappare dal mondo che tanto lo aveva ferito, non riuscivo ad accettare che buttasse via il suo cervello sopraffino.
    Sbuffai prima di guardarlo seria, con un’occhiata che, inconsapevolmente, avevo preso da mio padre.
    Mi può andare bene che tu faccia il cameriere in un pub di dubbio gusto.
    Mi può andare bene che tu viva a Spinner’s End, perché, dopotutto, è una casa di famiglia.
    Mi può anche andare bene che tu abbia deciso di non fare niente che arrivasse con un “Dato che sei il figlio di Piton…”.

    Presi una pausa, perché parlare così tanto, dopo mesi di silenzio, faceva gridare di dolore le mie corde vocali.
    Ma se potessi ti prenderei a calci per non aver preso qualche straccio di MAGO. Nath, sei una mente geniale, un cervello sopraffino… Perché buttare via tutto?
    La voce era ferma, logica e razionale.
    Non volevo essere cattiva, la brutta e cattiva sorella che torna dal regno dei morti e pretende di dettare legge. Ma volevo che lui capisse che era troppo intelligente, troppo sveglio e troppo tutto per buttare via la sua vita. Che facesse pure il cameriere babbano, ma che, almeno, si diplomasse. O l’avrei preso a calci.
     
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    ~ Slytherin Pride.

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    Nathaniel Severus Piton


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    Lasciò che quelle dita lo guidassero verso i suoi occhi. Smise di fuggirvi, nonostante il timore di leggervi solo delusione.
    Delusione per ciò che era diventato. Delusione per ciò che non aveva fatto. Delusione per essere tanto diverso dal loro amato padre. Lo stesso padre che avevano perso ancor prima che tutto finisse davvero.
    Pare mettano la cravatta, lì... non ho mai capito come si faccia quel dannato nodo.
    Ma il suo tono non era granché scherzoso, nonostante quella piccolissima battuta.
    Aveva rifiutato ogni singola proposta che gli era stata fatta. Anche quella di Minerva di restare al Castello scozzese.
    Hogwarts non era stata casa sua, no. Era nato lì, certo... ma nulla di più.
    Se n'era andato prima che la ricostruzione cominciasse. Il rapporto con Lyra era sfumato poco tempo dopo.
    Black probabilmente aveva indetto una vera e propria festa a quella notizia. O forse no...
    Seppur in modo annebbiato, ricordava ancora il viso tirato di Sirius durante i funerali generali.
    No... me ne sono andato...
    Scosse il capo mentre quell'occhiata familiare lo trafisse come una freccia. Per un attimo soltanto quelle iridi chiare si tinsero di un profondo e oscuro corvino. E fece male.
    Molto più male delle parole successive che si riversarono dalle labbra secche della sorella.
    Sospirò affranto sotto il peso di quel giudizio tanto lapidario. Una mente geniale. Un cervello sopraffino.
    Andrea pareva avere una considerazione esagerata sulla sua persona. Il ché era molto dolce, chiaro. Ma poco razionale.
    E a che scopo, Andy? Non sarebbe cambiato nulla...
    Con i genitori morti e la sua unica sorella in coma indotto, Nathaniel non aveva trovato il senso di restare.
    Non aveva trovato il senso di mettersi a studiare per degli esami apparentemente inutili. Non gli interessava far parte di una società che, per tutta la vita, lo aveva considerato come un reietto. Così, una mattina come tante, aveva buttato i suoi pochi averi in un vecchio zaino e se n'era andato.
    Aveva recuperato e cambiato qualche soldo alla Gringott, giusto per sicurezza, ed era salito sul primo espresso diretto a Londra.
    Aveva ignorato ogni singola lettera, vagando per alcuni giorni senza una meta vera e propria... finché non era arrivato il Testamento. E con lui una passaporta per Spinner's End. E quel tugurio, quel posto vecchio e impolverato, gli aveva ricordato la sua vera casa. La catapecchia al Campo Base, l'unico luogo in cui era stato davvero felice...

     
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